Leonello Grossi nacque a Finale il 4 gennaio del 1880, discendente di una famiglia il cui nome figura tra quelli iscritti nell'antico Libro d'Oro della nobiltà del Finale di Modena e che dalla metà del Cinquecento ha assicurato alla comunità diverse personalità civili e religiose, documentando negli anni l'evolversi della vita cittadina. "Basti ricordare – scrive Don Ettore Rovatti nel suo "Finale Emilia, mille anni di storia" – i cinque arcipreti Grossi: Andrea dal 1631 al 1645; Paolo dal 1651 al 1657; Giambattista dal 1700 al 1721; Carlo Ambrogio dal 1756 al 1774; Luigi dal 1881 al 1891. Tra i canonici spicca Luigi Andrea Grossi (1755-1843), fondatore dell'opera pia omonima".
L'ambiente in cui si sviluppa la personalità di Leonello è però di tutt'altro tenore. Siamo alla fine del XIX secolo e iniziano a diffondersi gli ideali di riscatto sociale sul solco tracciato, in queste terre, dal finalese Gregorio Agnini. "Lo chiamavamo Socialismo. Ma certo non era la meditata e sviluppata teoria di Marx ed Engels della quale si faceva così largo sfoggio nei comizi – scrive Carlo Grossi, fratello maggiore di Leonello e primo sindaco socialista di Finale, nei suoi ricordi pubblicati in "Carlo Grossi, una vita lunga un secolo" – ma che conoscevamo così per sentito dire. Al cadere dell'800 e soprattutto nella regione nostra che era considerata all'avanguardia, fra i giovani di quella che si chiamava allora borghesia, non era altro che la derivazione di quel vago sentimento umanitario che rampollava dalle ideologie che cent'anni prima la rivoluzione francese aveva scagliato a scardinare il mondo, confortato ed avvalorato dai residui del romanticismo risorgimentale e dalla passione garibaldina ancor così vivi nel ricordo e nelle persone. (...) Ma, sovra tutto, urgeva in noi la giovinezza, quella giovinezza ardita e ribelle che in ogni generazione si affaccia spavalda alla vita con la sicurezza assoluta che il corso del destino sarà per opera sua indirizzato a nuovi fini e portato a compimento, il sogno caduco che ogni generazione porta fatalmente con sé. E la giovinezza vivace ispirava quel senso di critica beffardo e magari un poco scettico che nell'inveire contro la società borghese non risparmiava noi stessi né la nostra azione inevitabilmente retorica in quella che si chiama la propaganda".
E' questo il contesto in cui si muove, in gioventù, Leonello Grossi. Dopo i primi studi nella scuola tecnica Ignazio Calvi di Finale, dalla quale esce nel 1892, si iscrive all'Istituto tecnico Barozzi di Modena, dove si diploma ragioniere nel 1896, ad appena 16 anni di età. Si iscrive quindi alla facoltà di Chimica Farmaceutica dell'Università di Modena, ma ne viene allontanato per ragioni politiche. "...il suo animo generoso – si legge nel ritratto che di lui viene fatto nel volume "Una scuola nel tempo", dedicato alla scuola Ignazio Calvi di Finale Emilia – attratto da quegli ideali di redenzione sociale che sul finire del secolo passato s'erano venuti diffondendo nelle nostre regioni seguendo le tracce di Andrea Costa, di Camillo Prampolini, di Gregorio Agnini, se n'era fatto fervido ed appassionato propagatore". Leonello, passa così all'analoga facoltà dell'Università di Bologna, dove nel 1900 ottiene la laurea e viene quasi immediatamente incaricato di organizzare l'apertura della Farmacia Cooperativa che sta per sorgere per volontà della Società Operaia.
Il 4 gennaio 1901 - giorno del suo ventunesimo compleanno – è la data in cui si tiene la prima seduta del consiglio d'amministrazione della neonata Farmacia Cooperativa. Come direttore viene scelto proprio il giovanissimo Leonello Grossi e vengono stanziati i denari necessari per allestire i locali di via Cavallera 22 (oggi via Oberdan), ceduti in affitto dalla Società Operaia. La Farmacia Cooperativa iniziò a operare alle ore 20 del giorno 7 marzo. "La gestione - scrive Marco Poli in "La Farmacia Cooperativa di Bologna" - fu improntata a criteri di tipo privatistico, attenta a tutte le variabili economiche e alle regole di mercato, pur mantenendo sempre salde le finalità di tipo sociale e l'ispirazione ai principi cooperativistici, offrendo un servizio alla collettività. Gli utili erano tutti indirizzati, a parte gli accantonamenti, a finalità benefiche o politiche o sociali".
Nominato, ancora giovanissimo, segretario della federazione provinciale bolognese del Partito Socialista Italiano, dal 1902 fu per più volte consigliere comunale e nel 1904 ottenne il seggio in consiglio provinciale, dove restò (a parte una parentesi tra il 1906 e il 1908) fino al 1920, ricoprendo anche dal 1914 l'incarico di vicepresidente. Per alcuni anni fu assessore alle Finanze del Comune di Bologna e occupò la carica di presidente della Congregazione di Carità. Richiamato sotto le armi alla fine della guerra, fu congedato con il grado di tenente farmacista. Tra le sue molteplici attività anche quella di redattore del settimanale socialista "La Squilla", per il quale ricoprì anche incarichi direttivi.
Proposto per la deputazione politica per il 3° Collegio di Bologna nelle elezioni del 1914, la sua candidatura venne preferita dai sostenitori del Partito Socialista a quella di Benito Mussolini, ma non ottenne il seggio al Parlamento. Le cose andarono meglio nel 1919, quando Bologna gli affidò il mandato parlamentare per la 25° Legislatura.
Con l'avvento del fascismo subì varie persecuzioni: venne sospeso dall'Ordine dei farmacisti e, il 18 febbraio 1921, fisicamente aggredito all'interno della Farmacia Cooperativa.
Nel 1924 viene eletto deputato per la seconda volta e prende parte attivamente alla secessione dell'Aventino (la secessione parlamentare che i deputati antifascisti misero in atto dopo il rapimento di Giacomo Matteotti).
Dichiarato decaduto da deputato, il 27 novembre 1926 è arrestato e inviato al confino per un anno nell'isola di Lipari, in provincia di Messina.
"Restò più di un anno al domicilio coatto con animo che né persecuzioni, né blandizie avevano potuto piegare – si legge ancora nel volume "Una scuola nel tempo" – prosciolto, tornò a Bologna e, ripresa la direzione della Farmacia Cooperativa, visse in libertà vigilata fino al 24 agosto 1934. Valoroso e diligente professionista, amministratore sagace, acuto polemista, oratore efficace e suadente, partecipò con fervore alla vita parlamentare con numerosi ed appassionati interventi. Fu anche per qualche tempo consigliere comunale nel suo paese d'origine (1907) dal quale le vicende della vita lo avevano allontanato, ma che non dimenticò mai, e particolare affezione conservava per quella villa di Massa dove egli per primo aveva diffusa la buona semente del socialismo ed accolto intorno a sè i primi fedeli".