Come scrive nel suo libro 'Finale Emilia. Mille anni di storia', il compianto Don Ettore Rovatti, "Il Libro d'Oro riporta l'albero genealogico dei Cassetti: inizia nel 1580 e le annotazioni ricordano come la famiglia fu iscritta tra le consolari nel 1670, che ebbe uomini distinti per cultura letteraria e legale e quali pubblici amministratori. Nel nuovo Libro d'Oro la iscrizione della famiglia Cassetti è ammessa l'11 novembre 1816 e precisamente di Giovanni Battista figlio di Alessandro nato nel 1754, con i figli Alessandro del 1796 e Francesco, nato il 26 dicembre 1798".
A riportare alla luce la figura di quest'ultimo è stato soprattutto il maestro Angelo Sola, sindaco di Finale nei primi anni Sessanta, che mise a frutto i suggerimenti di Carlo Grossi - altro grande personaggio a cui la città di Finale deve molto - legato da stretta parentela con Cassetti.
Come scrive appunto Sola in 'Ignazio Calvi e il suo tempo': "Antonia, sorella di Francesco Cassetti, sposò Carlo Grossi (1778-1818), da cui per li rami discendono Carlo Ermenegildo Grossi (1804-1865), Giovanni Grossi (1820-1901) e Carlo Grossi (1878-1973). Fu proprio quest'ultimo, già sindaco di Finale Emilia e preside del liceo M. Morandi, il père Joseph del sodalizio Grézieu/Finale. A lui va la quota di maggioranza del 'profitto', ammesso che di profitto si tratti" (per chi non fosse in grado di cogliere la citazione colta di Sola: père Joseph era l'eminenza grigia del Cardinale Richelieu...).
La biografia di Cassetti non è però facile da ricomporre. Si sa che dopo la laurea in medicina, partecipa al "raggio" carbonaro della Bassa e dopo i moti del 1831 che ebbero per protagonista sfortunato il carpigiano Ciro Menotti è inquisito e costretto a migrare.
Per certo si sa anche che non fa parte del gruppo di 84 patrioti - tra i quali figurano invece Ignazio Calvi, ben conosciuto da Cassetti, e alcuni altri finalesi - che fugge in Francia imbarcandosi sul trabaccolo pontificio Leon d'Oro ad Ancona.
Cassetti arriva oltralpe partendo da Livorno e passando per la Corsica. Agli inizi del 1838 raggiunge Grézieu-la-Varenne, piccola cittadina di un migliaio di abitanti della Rhône, regione della Francia sud orientale. Qui si ricongiunge con un gruppo di finalesi che, come lui esiliati, vi si erano stabiliti. Vi si ambienta rapidamente e, seppur con qualche fatica, riesce a entrare in possesso delle 'lettres de naturalité' (la prima richiesta è del 1842, in tempi di monarchia; l'ottenimento è del 1848, qualche mese dopo la proclamazione della repubblica), conquistando il diritto di essere iscritto nelle liste elettorali della città . Città di cui diverrà poi sindaco per la prima volta il 9 ottobre 1870 e, a parte un biennio, lo resterà fino al giorno della morte, il 16 marzo 1884.
Cassetti mantiene però uno stretto legame sentimentale con Finale, come testimonia la corrispondenza con il pronipote Grossi. In alcune delle lettere, conservate in copia nell'archivio storico comunale e che testimoniano l'amore verso la città natale, si lascia andare a ricordi finalesi.
In una delle ultime, datata 29 marzo 1882, narra un episodio che ha per protagonisti lui stesso, Ignazio Calvi e un altro personaggio d'origine finalese: Rubino Ventura, ebreo, prima volontario nell'Armata d'Italia napoleonica, poi in fuga dal Ducato di Modena, quindi comandante al servizio del Maharaja Ranjit Singh, re di Lahore e infine in Francia, dove ottiene da Re Filippo l'onorificienza di Grand'Ufficiale della Legion d'Oro e il titolo di conte di Mandy.
"Non so esprimere – scrive Cassetti – con qual gioia ho appreso che il Finale ha fatto gran progressi e fa mostra di Città quasi importante... Si ama sempre intender parlare in bene del paese che vi ha veduto nascere e dove avete passato i vostri primi anni di gioventù. Quanti aneddoti vi risveglia alla mente. Mi fece pur gran piacere di leggere la Biografia di Rubino Ventura che conobbi a Finale. ... Mi ricordo esattamente la lotta sostenuta contro il soldato della guardia urbana, in seguito della quale dovette abbandonare gli Stati Estensi. Ero assistente alla partita del gioco del pallone. Pendente il suo soggiorno in Parigi andai in compagnia del fu Ignazio Calvi farmacista fargli visita come compatrioti finalesi. Ci accolse graziosamente. Fu in quest'occasione che ci apprese le sue vicende e tutte le avventure fortunate che lo innalzarono al grado di generale, possedendo come ci assicurò, immense ricchezze. Calvi che fu in Finale un suo amico intrinseco gli rammentò certa avventura amorosa di cui eran stati gli Eroi. Non parve contento di questo sovenire perché palì e inclinò il capo, ciò che mi diede quasi voglia di ridere. Prendendo infin congedo mise nelle mani di Calvi 300 franchi per distribuire agli emigrati, dono che questi trovaron alquanto meschino, atteso le gran ricchezze che si vantava di possedere. Ma gli uomini non son mai contenti".
Poi Cassetti si dilunga nel raccontare dettagliatamente il flirt di cui Calvi e Ventura erano stati protagonisti. "Eran due sorelle Ebree assai belle – scrive – soprattutto seducenti. L'una vedova e l'altra maritata appellata generalmente bella Benedettina. Il marito a nome Levi bruttissimo macaco... I due amici Calvi e Ventura frequentando la famiglia presero possessione dei due abitanti (genere feminino). Ventura ebbe il core della bella Benedettina, Calvi quello della Vedova. Arrivò in seguito ciò che suol arrivare in simili circostanze. Il marito scacciò l'una; la famiglia minacciò l'altro di perseguitarlo davanti i tribunali e farlo punire d'avere, essendo cristiano, messa un'Israelita alla vigilia di divenir madre. Le minacce restaron minacce mercè l'intenzione di Gabriele Ventura, padre del nostro generale, molto influente fra la gente Ebrea d'allora, e più ancora la minaccia della Vedova di farsi cristiana e convolare ad altre nozze. Posero in opera tutti i mezzi per coprire quanto si poté l'affare e fin di non scandalizzare i devoti. Il tempo gran medico fece sì che più, o di rado, se ne parlò. Il risveglio di quest'avventura fece gran sensazione al generale. Io ero a quest'epoca l'amico ed il confidente di Calvi e non ho dimenticato le sue angosce quando soprattutto il giudice di pace che consultò gli diede conoscere certa antica legge condannando i delinquenti a corda, frusta o a galera...".
Come viene riportato nella documentazione presente nell'archivio storico di Finale Emilia e pubblicato dalla Biblioteca Comunale nel volumetto 'Garibaldi & dintorni', "la profonda conoscenza della scienza medica, la devozione e il disinteresse con i quali si prodigò verso i sofferenti, la probità della sua vita, la rettitudine del carattere, ispirato alle severe virtù repubblicane, gli valsero la stima e l'amore della popolazione di quel Comune che lo elesse sindaco (9 ottobre 1870-7 ottobre 1876) e che lo riconfermò alla carica il 21 gennaio 1878. Dettò l'epigrafe per la sua pietra tombale e volle vi fosse scritto: Il fut honnète home, n'eut d'autre religion que celle ci".