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Non è un personaggio di origine finalese, ma la sua storia incuriosisce: sarebbe interessante conoscere perché, dopo una carriera spesa sui palcoscenici di tutt'Italia e un'intrigante love story addirittura con Carlo Goldoni, sia venuta a finire i suoi giorni proprio a Finale, probabilmente in miseria, nel 1760.
Nata intorno al 1715 in una famiglia di attori di origine napoletana, Elisabetta D'Afflìsio Morèri è più conosciuta col nome di Passalacqua. Iniziò molto presto a recitare, alternando alla prosa la danza, il canto e l'acrobatica. "Esercitavasi nel Ballo con molta grazia; aveva qualche intelligenza della musica, e fece talvolta spiccare in essa la sua abilità, cantando in Musicali Operette ed Intermezzi. Giocava assai bene la Bandiera e sapeva con la spada schermire a meraviglia" (E Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani, I, Padova 1781). Il giudizio del Goldoni sulla sua abilità di interprete è contraddittorio: nei Mémoires critica duramente la sua interpretazione della Fondazione di Venezia che giudica falsa, monotona e affettata; nella prefazione al XIV tomo delle Commedie è invece più cauto: "giovane spiritosissima, che faceva tutto passabilmente e niente perfettamente. Cantava, ballava, recitava in serio e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera, parlava vari linguaggi, era passabile nella parte della Servetta e suppliva passabilmente negli intermezzi". Più che per le sue doti di attrice, però, divenne nota per la sua vita privata. Divenuta l'amante del commediografo, finì per tradirlo con il primo amoroso della compagnia, Antonio Vitalba. Ciò suscitò prima la gelosia, poi lo scherno del Goldoni, che si vendicò costringendo i due attori a recitare in un'opera chiaramente ispirata alla vicenda, Don Giovanni Tenorio o Il dissoluto punito. All'epoca non esistevano ancora i paparazzi, ma la tresca tra il Goldoni e la D'Afflisio ebbe una tale eco che molti anni dopo, il pittore Domenico Morelli, che riformò la scuola pittorica napoletana nel secondo Ottocento, dipinse la sequenza biografica Goldoni e la sua amante Madame Passalacqua (1865-69). L'attrice uscì comunque danneggiata da questa vicenda: divenuto direttore della compagnia, il Goldoni la sostituì per il canto e gli intermezzi, lasciandole unicamente il ruolo di serva, e occasionalmente di seconda donna e si liberò del Vitalba che passò a recitare al teatro S. Luca. Qualche anno dopo, passata ad altre compagnie, fu vittima di una brutta caduta che la costrinse a ritirarsi dalle scene. Tornò a recitare nel 1749 con una compagnia propria prima al teatro Comunale di Parma quindi a Mantova al teatro Ducale. Dopo aver peregrinato con scarsa fortuna nei teatri minori della Lombardia si ritirò infine dalle scene.
Seppur la sua biografia sia particolarmente scarna e abbastanza vaga – nacque all'inizio del XVI secolo e scomparve probabilmente nel 1565 – è ritenuto il più importante poeta in lingua latina di origine finalese. Nato, appunto, a Finale da una famiglia originaria di Piacenza, perse ben presto il padre Francesco, anche egli poeta. La madre lo mandò a studiare a Bologna dove ebbe come maestro Giovan Battista Pio, ma dopo tre anni dovette interrompere gli studi a causa di una serie di disgrazie familiari (poi rievocate nel poemetto Fortuna): dapprima gli morì il fratello Cesare, annegato nel Panaro, poi la madre; due nipoti, una sorella e qualche anno dopo, il giovedì santo del 1531, un altro fratello, Alessandro, fu ucciso da due sicari. Balbi risiedette a Finale per alcuni anni, presumibilmente occupandosi degli interessi familiari, senza però abbandonare gli studi e dedicandosi in particolare alla poesia latina. Quando Renata di Francia passò nel 1529 per recarsi a sposare Ercole d'Este, egli scrisse un poemetto che celebrava le nozze e lo dedicò a Obizio Remnio, segretario ducale. Oltre ai rapporti con Ferrara e con i duchi d'Este, Scipione guardava anche a Bologna e all'università. Nel 1531 dedicò un poemetto in lode di Bologna a Francesco Guicciardini, e a Bologna dal 1552 al 1564 o 1565, fu lettore di grammatica. I Rotuli dell'università registrano il nome alternativamente come "Scipio Baldus" o "Scipio Balbus de Finali". La sua attività letteraria si volse esclusivamente alla poesia latina. I contemporanei testimoniano della fecondità del Balbi, ma anche della scarsa cura per la forma. In seguito, il Carducci lo definì "uno di quei tanti verseggiatori latini che allora ogni angolo d'Italia produceva... ma come rampolli anche senza frutto seccavano presto". Nella sua "Biblioteca Modenese", Girolamo Tiraboschi scrive invece a proposito di Balbi: "Assai scarse notizie avrei io potuto dare di questo Poeta che pur dal Giraldi fu nominato tra celebri del suo tempo, se alcune non ne avesse rendute pubbliche il suddetto Sig Cesare Frassoni nelle sue Memorie del Finale e se di più altre non me n'avesse egli aperta la fonte col trasmettermi le rarissime opere di Scipione trascritte dalla stampa che se ne conserva nella Libreria Baratti in Ferrara. (...) Convien dire ch'egli avesse vena assai facile, e che molte fossero le Poesie che ne venivano lette benché assai più fossero quelle ch'ei ricusava di pubblicare.(...) Leandro Alberti ove nella sua Italia parlando del Finale di Modena chiama il Balbi elegante Scrittore di versi come dalle opere da lui fatte si può conoscere e massimamente dalla sua Fortuna descritta in versi esametri".
Nasce a Campodoso di Reno Finalese in provincia di Modena il 14 maggio 1821, ed è battezzato il giorno seguente. Educato dalla famiglia alla fede e alla carità, ha ricevuto una formazione culturale nei collegi dei barnabiti a Bologna e poi dei Gesuiti a Ferrara. Mentre frequenta la scuola dei gesuiti sente la vocazione alla vita religiosa. Nel 1837 veste l'abito clericale e, il 15 ottobre 1838, avuto il consenso dei genitori, entra nel noviziato romano della Compagnia di Gesù, a S. Andrea al Quirinale. A causa di diversi problemi di salute deve però ritornare in famiglia. Nel 1839, in vista del sacerdozio, inizia gli studi specifici presso tre successivi seminari: Finale Emilia, Modena e, in seguito, sempre per motivi di salute, Ferrara, dove completa il corso teologico e riceve l'ordinazione sacerdotale il 2 marzo 1844. Ritorna a Reno Finalese, come cooperatore del parroco, dal 1844 al 1851. In questo periodo, nel 1845, viene nominato insegnante di grammatica e direttore spirituale nel seminario di Finale Emilia. Nel 1851 è chiamato dall'Arcivescovo alla parrocchia di Galeazza Pepoli, nella diocesi di Bologna, come Economo spirituale. Il 25 aprile 1852 si insedia come parroco a Galeazza. In questa piccola comunità, di 627 abitanti, che si trovava in condizioni morali e religiose tutt'altro che felici, resterà per ben 41 anni, fino alla morte, malgrado gli vengano offerti incarichi più prestigiosi. Favorì la collaborazione dei laivi alla vita della Chiesa attraverso l'istituzione di varie associazioni, femminili e maschili. Don Baccilieri si trovò a essere fondatore di un istituto religioso quasi inconsapevolmente: la Congregazione delle Suore Serve di Maria di Galeazza fu il risultato della necessità di provvedere all'educazione e all'istruzione specialmente delle fanciulle povere ospitate in un collegio-convitto istituito vicino alla chiesa parrocchiale. La Congregazione si sviluppò, a partire dal 1852, come un piccolo seme che gradualmente si diffuse e crebbe arrivando a operare in Italia, Germania, Brasile, nella Corea del Sud e nella Repubblica Ceca. Scomparso il 13 luglio 1893, Don Baccilieri è stato Beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1999. La sue spoglie mortali riposano nella chiesa parrocchiale di Galeazza.
Sorella minore di Gregorio, nasce a Finale il 22 marzo 1858. L'8 agosto 1885, all'età di 27 anni, sposa Vittorio Lollini, avvocato modenese che a Finale, dove il padre era cancelliere della Prefettura, frequentava i circoli socialisti e, inevitabilmente, casa Agnini.
Nato il 27 settembre 1856 a Finale, da Tommaso Agnini, ricco possidente, che cedette in affitto le proprie terre per dedicarsi esclusivamente alla gestione di una distilleria di liquori, e di Elisabetta Kostner, inizia le elementari nella città natale, per poi trasferirsi a Genova da parenti, dove si diploma alla Scuola superiore di commercio.
Nelle pagine che seguono, grazie alla possibilità offertaci da Ediland, casa editrice del calendario Gente di Finale, proponiamo la serie di figurine finalesi che Celso Malaguti e lo staff redazionale di Ediland hanno tratteggiato dal 2004 a oggi.
FIGURINE FINALESI
La Gina dal barachìn – Gina Baraldi
La Betta – Elisabetta Baraldini
La Bèpa la Sdazàra – Giuseppina Bergamini
L'Elena la cagnara – Elena Bertelli
Renato e la Marisa – Renato Boetti e Marisa Rivaroli
Pìpi Ciarét – Paolino Bolognesi
Il Nostromo – Giancarlo Borghi
Pìpi Scarpàza – Amerigo Bortolazzi
Jusfìn al pessàio – Giuseppe Diegoli
Gigìn la Ciòza – Gustavo Diegoli
Fachin al curièr – Dante Facchini
Galin al sart – Alfredo Gallini
La Linda dl'Agnésa – Ermelinda Garutti
Dólfo Panvèc – Adolfo Golinelli
La Iolanda ad Paganel – Iolanda Grossi
Guiciardón – Arturo Guicciardi
La Mìstra Locchi – Giuseppina Locchi
Nemore l'infarmièr – Nemore Malaguti
Marchét al latàr – Gustavo Marchetti
La Teresina la Brustlinàra – Iolanda Marchetti
La Maria ad Scrilòto – Maria Marchetti
Gino Ciapapùi – Luigi Muzzioli
La Lucia ad Bizzi – Lucia Neri
Al Frabón – Giuseppe Paltrinieri
Mario Muradór – Mario Paltrinieri
Al Sgargìn – Giuseppe Parmeggiani
Guglièlam e la Giselda – Guglielmo Pisa e Giselda Paltrinieri
La Mistra Rebecchi – Gabriella Rebecchi
L'Ida l'infarmiéra – Ida Rivaroli
Catone e l'Amabile – Vittorio Aldo Rivaroli e Amabile Diazzi
Romeo di scatlón – Romeo Rizzati
Natalino – Natale Sansilvestri
Savonuzzi al bidèl – Ermes Savonuzzi
Al cavaliér Burèla – Renzo Silvestri
Tamplìn – Arzegovino Tampellini
Mario Macón – Antonio Tassinari
Balìn – Federico "Franco" Terzi
FIGURINE SPORTIVE
Denny Palazzi e Silvio Ziroldi
FIGURINE MUSICALI
Massa Finalese
Canaletto
Casoni
Casumaro
Reno Finalese